I NUOVI MATERIALI DELLA MODA
Tessuti plant-based e attenzione alla produzione sostenibile: nuovi modi di pensare la moda in un’ottica green
La produzione e la lavorazione dei materiali rappresenta la maggior parte dell’impronta di carbonio attribuibile alla moda, per questo motivo grandi e piccole realtà del mondo fashion stanno sperimentando soluzioni innovative orientate al biologico.
Le storie di Flavia Amato, stilista di origini calabresi e fondatrice del brand Malìa Lab, e quella di Chiara Bellandi, Head of Commercial Operations and Sustainable Development presso Bellandi Spa, sono un chiaro esempio di cosa significa fare moda sostenibile.
Malìa Lab: Atelier artigianale sostenibile
“Nel 2013 la proposta di moda eco-friendly era molto limitata e una ragazza giovane che voleva vestire sostenibile poteva scegliere veramente tra pochi pezzi. A quel punto ho iniziato a documentarmi per capire se il mercato offrisse la possibilità di creare un guardaroba completo per vestire la donna con un focus differente, ovvero quello della sostenibilità e del Made in Italy” racconta Flavia Amato.
Dopo attente ricerche durante un periodo di formazione presso l’Istituto Adriano Olivetti (ISTAO), finalizzato allo sviluppo di startup innovative, Flavia Amato si è resa conto che la sua terra d’origine, la Calabria, aveva una storia legata al settore tessile incredibile e tantissime tradizioni che si stavano perdendo. Ha, così, deciso di unire filati tradizionali come la canapa, l’ortica, la ginestra e la lana (tutti certificati e biologici) a tessuti innovativi quali la fibra di alga, la fibra di menta e il bamboo, un’ottima alternativa a tutto quello che sono i filati sintetici.
A partire dal 2016 decide di lasciare le Marche e tornare in Calabria, per dare vita al suo brand, con lo scopo di riscattare la sua terra, con un occhio al futuro: il made-to-order, ovvero il confezionamento al momento dell’ordine tramite un format ad hoc utilizzabile online.
“L’idea è nata da una duplice esigenza: in primis per una ragione di sostenibilità e di impatto ambientale, in secondo luogo per offrire una maggiore attenzione alle nostre clienti – continua Flavia Amato – Mi sono resa conto che non c’è cosa più bella per la cliente che avere nel proprio armadio un capo cucito e pensato apposta per lei, tutto questo, inoltre, favorisce il processo di fidelizzazione con il nostro brand”.
La difficoltà più grande che Flavia, insieme a suo marito e collega Paride Giovagnetti, hanno riscontrato fino ad ora, è stata quella di far capire alle persone l’enorme lavoro che c’è dietro al costo del capo. Ogni vestito, infatti, racchiude anche la consulenza, il su misura (fitting), il tessuto sostenibile e certificato, la manifattura. Tutti aspetti che i grandi colossi del fast fashion non prendono in considerazione.
“Un capo di qualità dura molto di più rispetto ad un prodotto fast fashion. È stato inoltre dimostrato che in un armadio pieno di vestiti non sappiamo cosa indossare. Quindi avere pochi pezzi che si possano combinare tra loro per creare look differenti è la soluzione migliore. Il mio consiglio è di investire in capi d’abbigliamento più eco-friendly possibile” conclude Amato.
Bellandi Spa: i 5 goals di SustainaBel
Chiara Bellandi, Head of Commercial Operations and Sustainable Development presso Bellandi Spa, è una delle creatrici del progetto SustainaBel, nato dalla volontà di rendere l’azienda pratese Bellandi Spa al 100% sostenibile.
Le aziende tessili, negli ultimi tempi, hanno dimostrato grande attenzione alla tematica tessuti sostenibili, ma meno al processo produttivo in sé. Da qui è nato l’obiettivo di intervenire concretamente sulla filiera per imprimerle una svolta sostenibile.
“Il piano SustainaBel ha 5 goals fondamentali che speriamo di poter raggiungere entro il 2030, ovvero: utilizzare esclusivamente energia rinnovabile per fornire energia ai nostri siti produttivi e ai nostri uffici; investire in macchinari che consumano minore energia; rendere la nostra intera collezione sostenibile; ridurre l’uso dell’acqua; approcciare uno “zero-waste” model; controllare e tracciare tutti i nostri progressi (life cycle assessment)” – afferma Chiara Bellandi -. L’industria della moda è una delle più inquinanti al mondo, diventa, quindi, una priorità assoluta essere parte di un cambiamento che per forza di cose ad un certo punto dovrà avvenire. È anche vero che, ormai, approcciarsi alla sostenibilità non è solo un dovere morale ma una necessità, perché il mercato in primis lo richiede”.
La richiesta di innovazione è in crescita, in particolare nell’ambito dei tessuti biodegradabili. In futuro la sostenibilità sarà vista in modo molto più ampio, andando sempre più verso un concetto di etica dietro il tessuto. Un aspetto importante è indirizzare le nuove generazioni a fare acquisti più consapevoli attraverso l’informazione. È necessario conoscere quello che si cela dietro al fast fashion e cosa comporta una moda così “veloce”, sia in termini di diritti dei lavoratori sia in termini di sosteniblità ambientale.
“Speriamo di poter raggiungere i 5 goals del nostro SustainaBel project entro il 2030 e nel frattempo, cerchiamo di restare aggiornati con le innovazioni riguardo alla sostenibilità e alla performance dei nostri tessuti, cercando di migliorarci sempre di più” conclude Chiara Bellandi.