Storie di cervelli in fuga
Chi per scelta, chi per necessità, chi per amore, chi per curiosità. I motivi sono tanti, la certezza è una: i giovani che abbandonano l’Italia sono sempre di più.
Sentiamo talmente spesso parlare di cervelli in fuga che ormai, oltre a non fare quasi più notizia, ce li immaginiamo come entità astratte. Invece, i cervelli che fuggono dall’Italia alla ricerca di opportunità che questo paese non è riuscito a dargli, hanno un volto, un nome e soprattutto una storia fatta di sacrifici mirati al raggiungimento di obiettivi e passioni.
Oggi ne incontriamo due: Elisabetta Spaliviero, Account Manager di 29 anni che ha lasciato l’Italia quattro anni fa per andare a Londra, e Morris Merlo, Technical Account Manager di 28 anni che vive all’estero da nove e che da poco si è trasferito a Vienna.
Cerchiamo di capire, insieme a loro, cosa gli ha spinti ad intraprendere un percorso all’estero e, soprattutto, se un giorno prevedono di tornare in Italia o se ormai la loro casa è altrove.
Cosa ti ha spinto a lasciare il tuo paese?
Elisabetta: Dopo un’esperienza di studio all’estero, più precisamente in Olanda, volevo tornare in Italia pensando di aver creato negli anni un curriculum sufficientemente buono per poter trovare un lavoro. Dopo essermi trasferita a Milano ho capito che non era così e, in seguito all’ennesima proposta di stage, ho iniziato a inviare curriculum a Londra. Nel giro di due settimane ho ricevuto una proposta da una delle più grosse e importanti compagnie al mondo di media e comunicazione. Ho accettato senza pensarci troppo.
Morris: Le motivazioni per cui ho lasciato l’Italia sono diverse: inizialmente sono partito per studio grazie a un Erasmus a Dublino, successivamente ho deciso di rimanere all’estero, spostandomi in giro per l’Europa, spinto dalla voglia di vivere ed esplorare culture diverse da quella italiana. Sono sempre stato affascinato anche dalla voglia di imparare più lingue. Da lì in poi le motivazioni si sono evolute e sono diventate sempre più varie, ad esempio, vivere all’estero mi ha dato stimoli lavorativi e personali decisamente diversi da quelli offerti dall’Italia.
Quali le differenze, per quanto riguarda le opportunità lavorative, tra Italia e il tuo attuale Paese?
Elisabetta: Quando sono entrata nell’azienda di cui parlavo prima, ho notato che le persone della mia età erano già due step sopra di me, questo perché, qui a Londra non serve avere il numero di titoli richiesto in Italia, è sufficiente una laurea triennale e la voglia di lavorare. La differenza più grande però l’ho trovata a livello contrattuale. Mi è stato proposto, fin da subito, un contratto a tempo indeterminato e un progressivo avanzamento di carriera.
La seconda differenza è l’approccio orizzontale alla struttura del lavoro: non ci sono persone di serie A e di serie B, non c’è discriminazione di sesso, di colore, di cultura, anzi, il mio team è sempre stato molto eterogeneo e con tante donne in posizione di Senior Leadership.
Morris: Le differenze che ho trovato, in linea generale, tra l’Italia e Vienna, il paese in cui mi trovo attualmente, sono diverse. In Italia la mentalità lavorativa è poco aperta al cambiamento, poco meritocratica e poco sicura a livello contrattuale. A Vienna il lavoratore si sente più tutelato, si trova in un ambiente meritocratico e contrattualmente sicuro, c’è una costante possibilità di crescita professionale e di aumento salariale, un buon bilanciamento tra vita lavorativa e vita personale e, soprattutto, l’idea del lavoratore come risorsa. All’estero è molto più facile raggiungere posizioni lavorative che in Italia richiedono più titoli, questo perché viene dato peso anche alle soft skills oltre alle skills tecniche.
Di che cosa ti occupi? In Italia avresti potuto raggiungere la stessa posizione?
Elisabetta: Mi occupo di gestire i clienti nelle loro decisioni di attivare campagne pubblicitarie online e offline. Una posizione che in Italia non avrei mai potuto occupare. Un anno fa, quando ho iniziato a cercare lavoro in Italia per capire se sarei riuscita a tornare, mi sono state proposte posizioni non paragonabili a quelle di Londra.
Morris: Lavoro nell’ambito informatico, in particolare Software & Service, e mi occupo nello specifico della gestione dei clienti che acquistano la nostra applicazione e del processo di integrazione post-vendita. Anche in Italia ho lavorato nella stessa posizione ma con condizioni assolutamente diverse rispetto a quelle che ho ora. Questo non per colpa del mio datore di lavoro, ma a causa delle condizioni strutturali del sistema lavorativo italiano. Le possibilità di crescita professionale all’estero sono più rapide e lo stipendio non è paragonabile.
Ti senti cambiato dopo questa esperienza?
Elisabetta: Vivere all’estero mi ha resa una persona più paziente, aperta, disponibile e con una visione molto più ampia del mondo. Viaggiando tanto ho capito che bisogna avere gli occhi sempre aperti e pronti ad arricchirsi. Sembrerà banale dire che il mondo è più grande di quello che si pensa. Ma è davvero così. Una volta che vivi questa diversità sulla tua pelle non torni – fortunatamente – più a vedere con gli occhi di prima.
Morris: Assolutamente sì. Sotto molti punti di vista, a partire dall’aspetto umano. Ho imparato a adattarmi alle culture del paese in cui mi trovato e ho riscoperto in me doti organizzative necessarie per vivere in autonomia in un Paese in cui, almeno inizialmente, ero completamente da solo. Sviluppare competenze linguistiche diverse mi ha anche permesso di avvicinarmi a culture che non erano mie ed uscire dai miei confini.
Torneresti a vivere in Italia? Qual è la cosa che ti manca di meno?
Elisabetta: Sì, ci tornerei. Dopo una certa età, in una città così grande e dispersiva come Londra, è difficile creare delle relazioni umane solide, a livello di amicizia. In Italia ho lasciato i miei amici e la mia famiglia e, a lungo andare, questa distanza diventa pesante. Però tornerei solo ed esclusivamente se trovassi un’opportunità lavorativa a pari livello di quella che ho qui. In quel caso lo farei senza dubbio.
La cosa che mi manca meno dell’Italia è il bigottismo. Londra è una città in cui le differenze non esistono. È normale camminare ogni giorno in mezzo a persone completamente diverse tra loro: pelle, orientamento di genere e sessuale, cultura, religione. Quando sali in metro sei al centro del mondo senza renderti conto di esserlo: tutti sono diversi ma, allo stesso tempo, tutti sono uguali. Anche in azienda si parla tantissimo di diversità ed inclusione. C’è una forte volontà di abbracciare le differenze che mi piace molto.
Morris: Non credo potrei tornare a vivere in Italia, ormai sono abituato a vivere in un paese estero e alle libertà che può offrirmi. La cosa che mi impedisce maggiormente il ritorno è la mentalità italiana che ormai trovo sempre più distante dalla mia: disorganizzazione, poca tutela nel lavoratore, poca gratificazione, poca crescita professionale, poca integrazione sociale. Nonostante questo, ho lasciato in Italia i miei affetti, quindi, è inevitabile per me sentire la mancanza della mia famiglia e dei miei amici, soprattutto perché sono convinto che sarà difficile instaurare all’estero relazioni solide come quelle che ho lasciato in Italia. È per questo che ho deciso di trasferirmi in un paese estero molto più vicino alla mia casa italiana. Una cosa che, straordinariamente, non mi manca è il cibo. Sfatiamo il mito che si può mangiare bene solamente in Italia.
La sfida più difficile che hai affrontato all’estero?
Elisabetta: La sfida più difficile è integrarsi appena arrivi: quando cambi contesto, senti che devi dimostrare chi sei. Appena mi hanno assunta mi sono sentita impreparata per quel ruolo, non provenivo dal mondo del marketing ma dal mondo dell’arte. Ho dovuto imparare termini nuovi, processi e programmi che non conoscevo. Quello è un momento molto sfidante e lo diventa ancora di più se in contemporanea stai anche cercando di crearti una rete sociale al di fuori dell’ufficio. La partenza è difficile ma dopo diventa tutto più facile.
Morris: Essere indipendente, sotto tutti i punti di vista: dal lavoro, alla gestione della casa. Sono uscito di casa molto giovane: a 19 anni ho fatto la mia prima esperienza all’estero e da lì ho proseguito. La difficoltà più grande è stata sicuramente staccarmi dalla mia famiglia e poter contare esclusivamente sulle mie sole forze, anche dal punto di vista finanziario. Questo mi ha insegnato a cavarmela, in qualche modo, in qualsiasi situazione, anche quando non conoscevo la lingua del paese in cui stavo.
Un suggerimento a chi sta pensando di intraprendere un percorso fuori dall’Italia?
Elisabetta: Consiglio di buttarsi e partire perché, anche se può fare paura, è un’esperienza che ti lascia tanto: si impara a crescere, a stare con gli altri, ad essere gentili e pazienti con le persone perché, in questa situazione di sfida che stai vivendo, la gente lo è con te. Questo ti porta ad avere un senso di gratitudine che restituisci nelle relazioni che intraprendi.
Vivere all’estero, infine, mi ha fatto ritrovare fiducia in me: dopo le offerte a ribasso che ho ricevuto in Italia, un modo per volermi bene è stato mollare tutto e partire. Vivere difficoltà, riuscire a superarle e, soprattutto, aver raggiunto la mia posizione lavorativa, mi ha fatto tornare la fiducia e la speranza che il mio paese, per quanto lo ami, mi aveva tolto.
Morris: Dirò quello che avrei voluto sentirmi dire all’epoca: informatevi e capite perché volete partire. Capite quali sono le vostre esigenze, cosa vi aspettate da quest’esperienza e chiedete consigli, se possibile anche a contatti vicini che hanno intrapreso un percorso simile. Il mondo oggi è agile e ci mette a disposizione tutte le risorse necessarie per avere le informazioni che cerchiamo. Ricordatevi anche che, quella che oggi sembra una sfida insormontabile, domani sarà solamente un piccolo tassello del vostro percorso personale.